lunedì 10 settembre 2012

Manate d'inchiostro. Celestino.


Volta faccia la rugiada
Quando picchia marmo legno
sassi
sorella acqua
e strada
Volta faccia l’anima
Quando viene il fiato senza respiro
E volta faccia l’infanzia
L’infanzia che ci accarezza il sonno
Quella che perde e vince
Che piange sempre e sempre torna a ridere
Quella che è Venere Marte e Saturno
e piccole meteore luminose
Quella che è notte e alba e mai giorno
Per non essere tramonto
Volta faccia
L’infanzia
quando la mente dimentica il corpo
E i corpi del tuo giardino dimenticano la tua
di anima
Quando si fermano un po’ più in là
Continuando a fissarti con quegli occhi spalancati
Che hai visto troppe volte
e non riconosci mai
Algidi e disperati
Dolci e aggressivi
Solitari e soli
Pudici e sinceri
Guardano per poi guardarsi dentro
E spiano la dolce vita che cammina tra le vibrazioni
Dell’ultimo petto

È lo slancio
Immobili come l’acqua d’un lago
Sconfitti e placidi

Quando desidera, cambiamento vien fuggendo
e stuprando
la vita loro è ormai la tua memoria
la vita loro è ormai la tua testa di granito
la vita loro è ormai le urla
la vita loro è forse un peso che va in lacrime
Cazzo sei in cima all’ Everest ora
Te ne sei accorto?
Sei sul ghiaccio
Sei nel vento
A un palmo dal cielo bianco
Lontano da tutto
E non torni prima di mezzanotte

Costruiamo case per metterci dentro case
Più nostre
Aspettando la muta
Ma di tanto in tanto ce ne dimentichiamo
E il tempo di novità arriva comunque
Lasciandoti lì col tuo ossario di foto e orologi
Scopato da quel cielo stellato
 In cui tutti credono per una stupida stella polare



La morte non ha risposte perché non è una domanda.

sabato 8 settembre 2012

Maggio, I


C’è un vento che prende in braccio il silenzio
e agli alberi gobbi ruba le vesti.
I figli cadono, e ai padri l’assenzio

Distoglie le mani dal raccoglierne i resti.
Il tempo che fugge muore
E nel tempo che resta tu resti

Come un’ombra davanti al tuo solo rumore
Che stride e fa eco in un letto fasciato,
con la guancia fredda che impedisce l’amore.

Anche se quel che sarà se l’è preso il passato
e le albe son perse nella conta dei giorni
Io ti sento che tiri da un lato,

e ti penso, ché se spesso ritorni
lo fai da dentro l’anima
e di quell’ora di nausea cancelli i contorni.

Sbuffi via il fiato e nemmeno una lacrima,
Poi nulla più.
E Lei che pretende l’ultima decima

Se ne esce via, noi dopotutto qui giù
Come pecore in mezzo ai lupi
Sotto nebbie di ferro, su un prato che fu.

Campagna triste, se insieme pecore tra i lupi
E se da soli siamo porco che vive del vuoto del porco
Che va in grasso al bovaro per gli inverni più cupi.

E invece del grano canzoni sul granoturco,
di fate incrociate e porte aperte
per far pace la notte col terrore dell’orco.


Tra le braccia solo coperte
Ora, e una casa morta che urlava impazzita
Si  fa imbarazzare dal sole potente,

da un vento chiaro e una spina appassita
Ai figli nuovi, quel che sarà, sarà stato
e arranca sul colle della prospettiva finita.

Tu piangi, e allora allaga questo fossato
Col mare degli occhi. Stammi vicino
Ridammi la spalla
 e la mano
e il petto
e un tetto stellato.
Saprò aspettare.