sabato 8 settembre 2012

Maggio, I


C’è un vento che prende in braccio il silenzio
e agli alberi gobbi ruba le vesti.
I figli cadono, e ai padri l’assenzio

Distoglie le mani dal raccoglierne i resti.
Il tempo che fugge muore
E nel tempo che resta tu resti

Come un’ombra davanti al tuo solo rumore
Che stride e fa eco in un letto fasciato,
con la guancia fredda che impedisce l’amore.

Anche se quel che sarà se l’è preso il passato
e le albe son perse nella conta dei giorni
Io ti sento che tiri da un lato,

e ti penso, ché se spesso ritorni
lo fai da dentro l’anima
e di quell’ora di nausea cancelli i contorni.

Sbuffi via il fiato e nemmeno una lacrima,
Poi nulla più.
E Lei che pretende l’ultima decima

Se ne esce via, noi dopotutto qui giù
Come pecore in mezzo ai lupi
Sotto nebbie di ferro, su un prato che fu.

Campagna triste, se insieme pecore tra i lupi
E se da soli siamo porco che vive del vuoto del porco
Che va in grasso al bovaro per gli inverni più cupi.

E invece del grano canzoni sul granoturco,
di fate incrociate e porte aperte
per far pace la notte col terrore dell’orco.


Tra le braccia solo coperte
Ora, e una casa morta che urlava impazzita
Si  fa imbarazzare dal sole potente,

da un vento chiaro e una spina appassita
Ai figli nuovi, quel che sarà, sarà stato
e arranca sul colle della prospettiva finita.

Tu piangi, e allora allaga questo fossato
Col mare degli occhi. Stammi vicino
Ridammi la spalla
 e la mano
e il petto
e un tetto stellato.
Saprò aspettare.

Nessun commento:

Posta un commento